Cos’è la Psicoterapia ?

Consiste nell’indagine e nella cura dei disturbi emotivi attraverso l’utilizzo di strumenti psicologici. E’ un lavoro che si fa in due, paziente e terapeuta, e fa uso del colloquio, della parola e della riflessione per giungere alla comprensione delle motivazioni del malessere e della sofferenza.
Il lavoro psicoterapeutico si occupa soprattutto delle emozioni e poco delle categorie razionali. Queste ultime permettono di mettersi in contatto con la realtà e con gli altri, ma si tratta solo di uno degli aspetti del rapporto con il mondo esterno.
E’ illusorio pensare di relazionarsi ad esso solo razionalmente ed i fatti evidenziano l’importanza delle emozioni, sensazioni e intuizioni. Una parte della vita psichica sfugge quindi al controllo della ragione, appartiene all’inconscio e il lavoro psicoterapeutico consente di acquisire gli strumenti per dialogare con esso.
La psicoterapia mira a produrre cambiamenti strutturali nel paziente attraverso il rafforzamento e la maturazione dell’Io e la modificazione dei meccanismi patologici. Il fine della psicoterapia è, quindi, di portare a nuovi e più maturi modi di porsi in relazione con gli altri e di promuovere la soluzione dei conflitti psichici mediante l’introspezione e l’acquisizione di consapevolezza.

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    Che strumenti si utilizzano in Psicoterapia?

    Facciamo un breve cenno ai principali strumenti della psicoterapia.
    Il colloquio: è usato dal paziente per raccontare la sua storia, le sue esperienze passate e presenti, le emozioni connesse. Il terapeuta utilizza la parola per fornire interpretazioni, chiarimenti e indicare le relazioni tra i diversi contenuti psichici che emergono durante il lavoro terapeutico.
    L’interpretazione: mette in relazione i contenuti del passato con quelli del presente, fornendo a questi ultimi lo sfondo storico delle loro origini e aumentando i livelli di consapevolezza.
    La relazione: il rapporto che s’instaura tra paziente e terapeuta, il campo emotivo della loro relazione, il rapporto di stima e fiducia reciproca sono strumenti molto importanti della psicoterapia e costituiscono il veicolo del processo di trasformazione attivato nel paziente.
    Il transfert: durante la psicoterapia sono proiettati sul terapeuta alcuni contenuti significativi della vita interiore del paziente, quali sentimenti antichi familiari, relazioni col mondo esterno, rapporti emotivi con personaggi della realtà attuale.
    Tali contenuti sono “trasferiti” sul terapeuta consentendo al paziente di viverli nel “qui ed ora” della relazione terapeutica. Ciò permette di elaborarli in una situazione di attualità ed evita che il lavoro terapeutico diventi distante e astratto.
    Il setting: è un termine di origine teatrale che indica ciò che è presente in scena in modo fisso ed entro cui si svolgerà l’azione rappresentata. La ripetitività della situazione in cui avvengono gli incontri, la certezza degli orari, la stabilità dell’ambiente ed il legame emotivo con il terapeuta forniscono al paziente la cornice del lavoro terapeutico.
    All’interno di tale cornice potrà fare emergere, in condizioni di relativa sicurezza, anche i propri contenuti emotivi più nascosti e vergognosi, rendendone possibile l’elaborazione e la modificazione.
    Ipnositerapia, interpretazione dei sogni, e tecniche cognitive comportamentali sono altri strumenti che possono essere utilizzati.

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    Quando è necessaria una Psicoterapia?

    E’ necessario intraprendere una psicoterapia quando il malessere si fonda su problemi o conflitti personali, difficoltà di rapporto con gli altri, reazioni eccessive ad eventi o situazioni, difficoltà di accettazione di se stessi o del proprio ambiente.
    Il lavoro psicologico diventa lo strumento per osservare la propria vita, soprattutto quella interiore, con l’aiuto di un altro, per individuare l’origine del proprio malessere, conoscerne il senso e trovare la direzione verso cui cercare la soluzione.
    Il percorso psicoterapeutico, quindi, attiva un lavoro di elaborazione e ricerca interiore e mette in moto un processo di trasformazione personale.
    La storia seguente esemplifica quanto finora detto.

    Un caso clinico

    Claudio chiede un consulto per problemi relativi al sonno. Da qualche settimana il suo risveglio,
    oltre ad essere molto precoce, tre/quattro ore prima del solito, è anche accompagnato da pensieri
    negativi sulla giornata che dovrà affrontare e spesso anche da ansia e tachicardia. Durante il giorno
    accusa molta stanchezza e difficoltà di attenzione e concentrazione che cominciano ad interferire
    con lo svolgimento dell’attività lavorativa. E’ preoccupato non tanto dalla gravità attuale dei
    sintomi che, per quanto fastidiosi, descrive come ancora sopportabili, quanto dal timore che venga
    di nuovo a svilupparsi una vera e propria crisi depressiva di cui aveva sofferto l’anno precedente.
    Anche allora inizialmente i sintomi erano simili a quelli attuali. Si erano però progressivamente
    aggravati tanto da determinare un periodo d’interruzione del lavoro. All’epoca, dopo alcuni tentativi
    di terapia da parte del suo medico di base, si era rivolto ad uno psichiatra, aveva iniziato una terapia 3
    con antidepressivi ed i sintomi erano regrediti nel giro di poche settimane. Aveva continuato ad
    assumere la terapia ancora per circa otto mesi e poi l’aveva sospesa.
    Nel periodo successivo non aveva assunto alcun farmaco e non si erano più manifestati sintomi
    della serie depressiva fino a poche settimane prima.
    Claudio ha appena compiuto 38 anni ed è un ingegnere elettronico. Figlio unico, vive solo con la
    madre. Il padre è mancato quando Claudio aveva 18 anni. Descrive il rapporto con la madre come
    positivo. A volte vi sono contrasti a causa dell’atteggiamento d’eccessiva preoccupazione di lei, ma
    complessivamente sta molto bene a casa sua. Dotato di intelligenza superiore alla media, si è
    sempre distinto per gli ottimi risultati scolastici e ha concluso il corso universitario con il massimo
    dei voti. Subito dopo la laurea si è facilmente inserito nel mondo del lavoro, dove ha iniziato una
    brillante carriera che l’ha portato a posizioni di vertice nell’azienda in cui lavora. Le cose sono
    invece andate meno bene sul versante sentimentale. Si descrive come timido e riservato e non ha
    avuto storie importanti fino all’età di 30 anni. Non riusciva ad impegnarsi seriamente con nessuna,
    la durata delle relazioni era molto breve e il suo impegno prevalente era rivolto all’attività
    lavorativa. La sera, molto stanco, spesso preferiva stare a casa a guardare la televisione, piuttosto
    che uscire con gli amici o con le ragazze.
    All’età di 30 anni inizia una relazione con una coetanea e, contrariamente a tutte le altre, resta
    emotivamente coinvolto. La relazione dura ancora adesso. I primi anni sono stati molto belli e
    coinvolgenti, ma poi la ragazza propone il matrimonio.
    Claudio risponde di non sentirsi ancora pronto. Segue un periodo di forte tensione che determina
    una crisi nella coppia ed l’interruzione della relazione.
    Riprendono a frequentarsi, ma una nuova crisi si verifica circa due anni dopo, quando la ragazza
    manifesta di nuovo il desiderio di sposarsi. Claudio non si sente ancora pronto. Di nuovo
    un’interruzione, di nuovo la ripresa del rapporto dopo qualche mese. Da allora la ragazza non ha più
    parlato di progetti matrimoniali e tanto meno l’ha fatto Claudio. Continuano a stare insieme, ad
    avere interessi comuni e a fare le vacanze insieme, vivendo però ognuno a casa propria.
    Il quadro psicologico che si delinea è il seguente: Claudio ha una personalità disarmonica, in cui vi
    è stato un forte sviluppo della parte razionale, ma un’inibizione dello sviluppo della vita affettiva,
    che vive come paurosa e pericolosa. Vi è un forte sbilanciamento tra “personalità sociale” e
    “personalità privata”, quest’ultima legata al mondo della madre, dal quale non riesce a svincolarsi.
    Tanto è grande nel mondo del lavoro, tanto è piccolo nel mondo materno, dal quale si fa accudire e
    coccolare. Resta nel posto sicuro, dal quale riceve calore e protezione. Il prezzo è l’inibizione dei
    progetti di una vita affettiva autonoma e di una parte importante della propria personalità: quella
    affettiva e del sentimento. Resta piccolo e dipendente, nel rapporto antico e sicuro, per non correre 4
    il rischio di soffrire e restare deluso in un rapporto adulto. Ha sperimentato, nell’ambito
    professionale, di avere ottime capacità d’autoaffermazione e in quest’ambito ha trovato il proprio
    posto al sole. L’altra parte di lui, quella affettiva, rimane all’ombra della madre. Non osa prendersi
    la responsabilità di una separazione da lei, a casa si sente protetto e al sicuro, non riconosce la
    spinta verso l’autonomia e il distacco dal mondo materno.
    Claudio però non sa tutto questo, non è consapevole del sacrificio della propria autonomia affettiva,
    si dà spiegazioni del tipo: “Non mi sento ancora pronto” che è un modo per rimandare in maniera
    indefinita la responsabilità della scelta e per mantenere invariata la situazione attuale. Tutto ciò ha
    però un prezzo: la parte della personalità repressa e relegata nell’inconscio entra in conflitto con
    quella cosciente e da ciò prendono origine i sintomi. Le crisi depressive, quella dell’anno prima e
    quella attuale di cui sono presenti i primi segnali, sono l’espressione di un conflitto interno,
    dell’inibizione di una parte che preme per essere riconosciuta, ma che, relegata nell’inconscio, può
    esprimersi solo producendo sintomi. Occuparsi solo della loro cura con farmaci, com’è avvenuto
    nella prima crisi depressiva, lascia il conflitto immutato e pronto a manifestarsi nuovamente.
    E’, invece, necessario che Claudio faccia una psicoterapia in modo da acquisire la consapevolezza
    del suo problema interno. Potrà quindi prendersi cura di quella parte della sua personalità relegata
    nell’inconscio, assumersi la responsabilità di una scelta adulta e sanare la frattura tra la sua parte
    razionale e quella affettiva, riequilibrando la personalità globale.

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    Che ruolo assume lo Psicoterapeuta nell’analisi? È un amico, un confidente...

    La psicoterapia può essere assimilata ad un “viaggio” all’interno di sé che il paziente compie in compagnia dello psicoterapeuta, il quale è il “compagno di viaggio” che conosce le difficoltà e le insidie del percorso per averlo lui stesso affrontato.
    Lo psicoterapeuta è un professionista che, oltre alla laurea in Psicologia Clinica o Medicina, ha conseguito una specializzazione ulteriore di quattro anni grazie alla quale è iscritto all’Albo degli Psicoterapeuti e può esercitare l’attività di psicoterapeuta.
    La parte più importante del suo percorso formativo è l’essersi lui stesso sottoposto ad un lavoro di analisi personale e didattica con psicoterapeuti più esperti. Durante la sua formazione impara quindi a riconoscere le proprie dinamiche interne e relazionali, acquisisce strumenti tecnici specifici e sviluppa quella sensibilità empatica che gli consentirà d’essere egli stesso il primo “strumento” del lavoro psicoterapeutico.
    Per creare un ambiente favorevole all’attivazione del processo di trasformazione del paziente, deve saper riconoscere le emozioni che tale situazione suscita, contenerle e rimandarle in forma costruttiva.
    Da tale continuo confronto nasce per il paziente la possibilità di cogliere, realizzare ed agire le potenzialità del cambiamento. In ogni suo intervento il terapeuta è tenuto a rispettare la realtà dell’altro, senza mai imporre la propria visione di vita o emettere giudizi di valore. Egli non giudica, ma comprende e aiuta a comprendere.
    Proprio per questo, all’interno della relazione, il paziente può permettersi di entrare in contatto con parti sconosciute o rifiutate di sè. Grazie al clima di fiducia e di empatia che si crea nella relazione, il paziente può “correre il rischio” d’esprimere quelle parti che, pur essendo presenti, non hanno avuto diritto di parola e d’espressione.
    Diritto negato dalla necessità di adattamento alle convenzioni sociali o dall’aver ricevuto un’educazione troppo rigida o troppo elastica, dalla necessità di salvaguardare relazioni significative ma problematiche, dalla necessità di apparire sempre all’altezza del ruolo che si è scelto o che gli è stato attribuito.

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    Lo Psichiatra e lo Psicoterapeuta

    La psichiatria è quella specializzazione della medicina per conseguire la quale necessitano cinque anni di specializzazione successivi alla laurea e che si occupa della cura dei disturbi psichici, nella più vasta accezione del termine (psicosi, nevrosi, disturbi caratteriali, ecc.)
    Lo strumento principale, anche se non l’unico, dello psichiatra è costituito dagli psicofarmaci. Il suo intento curativo è rivolto alla risoluzione dei disturbi psichici e lo scopo è quello del ripristino della situazione precedente, turbata dalla manifestazione del sintomo.
    Anche lo psicoterapeuta si occupa della cura della psiche, ma solo ed esclusivamente mediante le parole: cura cioè attraverso lo strumento psicologico, allo scopo di dare un senso alla sofferenza del paziente. L’azione dello psichiatra è mirata alla risoluzione del sintomo, quella dello psicoterapeuta invece ha lo scopo di comprenderlo e curarlo.
    Come più volte sottolineato, i due tipi di interventi, farmacologico e psicoterapeutico, stanno tra di loro in rapporto di complementarietà. Quando è presente una sintomatologia invalidante è necessario ottenere, nel giro di poche settimane, la regressione della fase acuta del disturbo e ciò è possibile mediante i farmaci. In tale tipo d’intervento il paziente è passivo e si deve solo limitare al rispetto della prescrizione medica.
    Più volte è stato sottolineato che i farmaci non hanno alcun effetto sulle cause dei sintomi e che, per agire su di esse, è necessario l’utilizzo dello strumento psicologico, cioè della psicoterapia. In tale caso è necessario un atteggiamento attivo del paziente ed una sua collaborazione con lo psicoterapeuta nel lavoro psicologico.
    Proprio per questo è consigliabile che il lavoro psicoterapeutico di ricerca venga iniziato quando il paziente è in grado di fornire la sua collaborazione e quindi non durante la fase acuta del disturbo, in cui la psicoterapia può solo avere funzione di supporto.
    Per meglio comprendere la differenza tra l’intervento con i farmaci e quello con la psicoterapia, possiamo utilizzare l’esempio di ciò che avviene nel nostro organismo quando abbiamo la febbre. Essa è il segnale che il corpo si sta difendendo da un qualche attacco esterno, batterico o virale.
    Se la febbre è alta è necessario utilizzare gli antipiretici, tenendo però presente che il sintomo febbre è solo un segnale e che bisogna indagare sul tipo di attacco che il nostro organismo sta subendo per una cura più mirata.
    Allo stesso modo, quando sono presenti sintomi psichici invalidanti, è utile l’uso dei farmaci, tenendo presente che i sintomi sono il segnale della presenza di conflitto interno che deve esser curato utilizzando lo strumento psicoterapeutico.

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    Esiste un limite di età per iniziare una Psicoterapia?

    Come più volte sottolineato, la psicoterapia è un viaggio all’interno di sé che ha lo scopo di aumentare il livello di conoscenza dei propri meccanismi interni. Non esistono quindi limiti di età per tale processo che può essere iniziato in ogni fase della vita.
    Naturalmente è probabile che siano diverse le problematiche che emergono durante la psicoterapia di un paziente giovane rispetto a quelle di un paziente in età avanzata.
    Nel primo caso saranno affrontati in prevalenza problemi relativi al rapporto con le figure genitoriali, al binomio dipendenza/autonomia e alla sua ambivalenza, all’inserimento nel mondo del lavoro e alla costituzione di un proprio nucleo familiare.
    Nel secondo invece, avendo ormai realizzato gli scopi biologici della vita, risulteranno in primo piano aspetti “spirituali”, legati alla ricerca del senso dell’esistenza.

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    E’ possibile farsi l’Autoanalisi ?

    La psicoterapia è un viaggio da effettuare in due, paziente e psicoterapeuta, e non è possibile fare il cammino da soli. Sarebbe infatti necessario superare ostacoli insormontabili, rappresentati dai meccanismi inconsci che non possono essere affrontati utilizzando gli strumenti a disposizione della coscienza.

    Ricordo il caso di G., un giovane studente universitario di Filosofia che aveva chiesto un consulto per la presenza di un disturbo di tipo claustrofobico: non riusciva a prendere l’ascensore né a stare in luoghi chiusi.

     Era molto arrabbiato con se stesso perché aveva fatto uno studio approfondito sui meccanismi che governano la nostra psiche. Aveva letto tutte le opere di Freud, ne aveva sintetizzato i concetti principali, riempiendo cinque grossi quaderni di appunti, sapeva tutto, ma il disturbo non accennava a diminuire.

     Il problema è che la conoscenza razionale dei meccanismi psichici può essere un punto di partenza per il lavoro psicologico, ma le componenti emotive e la collocazione nella storia personale soggettiva risiedono nella parte inconscia della personalità e non sono quindi accessibili utilizzando gli strumenti della razionalità.

     Nel caso di G. era attivo un problema di dipendenza dalla figura materna che, peraltro, determinava in lui seri problemi con le ragazze, liquidati come semplicemente conseguenti alla sua timidezza. A livello cosciente non avvertiva la presenza di tale problema, ma il legame con la madre limitava la sua libertà d’azione e di relazione ed esprimeva la sua presenza producendo sintomi claustrofobici.

    G. però non poteva giungere a tale consapevolezza da solo, attraverso le letture, perché la strada d’accesso alle sue dinamiche inconsce era sbarrata da meccanismi psichici inconsci quali la rimozione, la negazione e le resistenze. L’aiuto del “compagno di viaggio”, che conosce i meccanismi e le loro dinamiche, si rende quindi necessario per poter avere accesso alla propria vita interiore. 

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    Le paure dell’inizio

    L’inizio della psicoterapia è spesso accompagnato da alcune paure variabili d’intensità e dipendenti dalle informazioni in possesso del paziente.
    Accenniamo alle più frequenti. Paura della durata. Se ne è già parlato in un precedente paragrafo. Aggiungiamo che spesso tale paura è legata ad una forma di resistenza e che, con il progredire del lavoro terapeutico, tende a scomparire e lasciare il campo alla scoperta delle proprie risorse interiori.

    Paura della dipendenza

    E’ spesso presente il timore del legame di dipendenza dallo psicoterapeuta e/o dalla psicoterapia tale da rendere difficile il distacco. Tale paura è basata sulla convinzione che lavoro di ricerca su se stessi sia esclusivamente legato alla figura del terapeuta o all’ambito in cui la terapia si svolge.
    E’ opportuno tenere presente che uno degli scopi della psicoterapia è la conquista dell’autonomia personale e quindi il superamento di legami di tipo dipendente. Durante la psicoterapia è fisiologica la presenza di una fase in cui il rapporto con il terapeuta assume carattere di dipendenza, ma si tratta di un passaggio tanto obbligato quanto transitorio nel cammino verso l’autonomia.
    Bisogna inoltre tenere presente che il dialogo con il proprio inconscio non si esaurisce nel corso della psicoterapia. Avrà termine la fase in cui è necessaria la mediazione del terapeuta, ma il paziente acquisisce la conoscenza dei propri meccanismi interiori e degli strumenti che consentiranno di continuare a lavorare su se stesso anche dopo la fine della relazione con il terapeuta.

    Paura del cambiamento

    Per alcuni versi, tale paura è paradossale in quanto il cambiamento è ciò che il paziente ricerca attraverso la psicoterapia. La metafora delle stampelle può essere utile per spiegare tale contraddizione. Chi ha imparato a camminare utilizzando per molti anni le stampelle da un lato ha il desiderio di liberarsene, ma dall’altro teme di non poterne fare a meno.
    Fuori metafora, chi si è adattato al mondo esterno e interno utilizzando meccanismi di tipo nevrotico, da un lato ne avverte il peso, ma dall’altro essi rappresentano il “noto” e il “certo”.
    Un tipo di adattamento diverso, senza quei meccanismi, appartiene al mondo del “non noto” e all’”incerto” e, quindi, oggetto di desiderio, ma anche di paura.

    Paura della scoperta dei “mostri”

    Questa paura è figlia di una concezione riduttiva dell’inconscio in base alla quale esso è solo contenitore degli aspetti della nostra personalità rimossi per la loro connotazione negativa. Si tratta di una visione parziale che non tiene conto delle potenzialità positive ed inespresse presenti nell’inconscio e alle quali sarà possibile accedere attraverso il lavoro psicoterapeutico.
    Inoltre, quando ci si avvicina con un atteggiamento di paura a ciò che non si conosce, questo tende a essere vissuto come mostro terrifico. Solo attraverso la conoscenza i vari aspetti della personalità possono acquisire le loro reali dimensioni e caratteristiche.

    Paura di non essere all’altezza

    A volte è presente, in pazienti con un livello basso di autostima, la paura di non essere in grado di svolgere il lavoro psicoterapeutico a causa della presunta scarsa intelligenza o del basso livello culturale.
    Anche tale paura è però fuori luogo perché la buona riuscita del lavoro non dipende dal livello intellettivo né da quello culturale, ma dalla sensibilità personale e dalla capacità d’introspezione.

    Paura della distruzione

    Nasce dall’idea che il lavoro psicoterapeutico consista prima nel demolire la struttura della personalità esistente e successivamente operare la ricostruzione sulle sue macerie. Da tale paura possono derivare timori per la stabilità del proprio rapporto affettivo o per la propria fede religiosa o per decisioni importanti già prese che si teme di scoprire inautentiche.
    In realtà la psicoterapia non ha lo scopo di distruggere quanto esiste, ma d’individuare e correggere le distorsioni presenti nel rapporto con se stessi e con gli altri, allo scopo di raggiungere una maggiore completezza ed autenticità.

    Claudia è un donna di 30 anni che chiede un consulto perché sta attraversando un periodo di profonda crisi. Dice di trovarsi in una situazione che non avrebbe mai pensato di vivere che le genera uno stato d’intenso malessere. E’ sposata da cinque anni e ha due figli, di quattro e due anni. Lavora come impiegata e, da qualche mese, ha una relazione con un collega di lavoro.

     Dice che la cosa è iniziata quasi senza rendersene conto e l’ha comunque coinvolta. Vive nel terrore di essere scoperta ed è divorata dai sensi di colpa nei confronti del marito e soprattutto dei figli. E’ giunta al limite della sopportazione e per questo chiede aiuto. E’ molto presente in lei la paura che il lavoro psicoterapeutico e le scoperte che comporterà possano portare alla distruzione del suo matrimonio.

     Del resto è anche vero la relazione extraconiugale testimonia la presenza di qualche problema nel rapporto con il marito. E’ probabile che lei abbia cercato la soluzione all’esterno della coppia, ma è proprio tale spostamento ad essere distruttivo per la sua matrimoniale.

    Attraverso il lavoro psicoterapeutico Claudia potrà essere aiutata ad individuare i nuclei problematici del suo matrimonio, le sue insoddisfazioni all’interno di esso, le responsabilità del marito, ma anche le sue e potrà fare uso di tali conoscenze per attivare all’interno della coppia quel dialogo, da tempo interrotto, che porterà alla ricerca di soluzioni all’interno di essa. 

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    La Psicoterapia fatta “vis a vis”

    Durante il lavoro psicoterapeutico il paziente siede di fronte al terapeuta, “vis a vis” e la posizione del paziente sdraiato sul divano, con il terapeuta seduto alle sue spalle, viene utilizzata solo saltuariamente o in particolari fasi della terapia, proposta al paziente e con lui concordata.
    La posizione sdraiata comporta una più libera espressione del materiale inconscio e può essere un vantaggio per affrontare argomenti “imbarazzanti” guardando in faccia il terapeuta. Presenta però anche svantaggi, ad esempio rischia di determinare episodi regressivi indesiderabili o lo sviluppo di forti sensi di sottomissione, dipendenza e vulnerabilità.
    La posizione vis a vis è sicuramente più paritaria ed aiuta il paziente a ricostruire la sua capacità di relazioni e altre funzioni dell’Io, quali l’esame di realtà e il contatto con essa. Lascia al tempo stesso possibilità all’emersione e all’analisi di materiale regressivo con un maggiore rispetto dei tempi di maturazione dell’Io.

    Il caso di S.

    Sandra è una giovane di 28 anni che inizia una psicoterapia per la presenza di sintomi di tipo depressivo e crisi d’ansia. E’ inoltre molto disturbata da un problema relativo alla sua vita coniugale: è sposata da cinque anni e, da circa un anno, ha iniziato a manifestare un’intensa gelosia nei confronti del marito.
    Da qualche mese è ossessionata dal pensiero che lui frequenti altre donne e a nulla valgono rassicurazioni o verifiche, con esito negativo, fatte per controllarne la fedeltà. La gelosia si presenta con forza violenta che non riesce a controllare e il marito è al limite della sopportazione, tanto da minacciare la fine del matrimonio.
    Sandra ha già fatto una psicoterapia tre anni prima per la presenza di sintomi analoghi, anche se meno violenti, ma l’aveva interrotta dopo circa tre mesi. All’inizio la posizione era “faccia a faccia”, ma dopo poco il lavoro aveva subito un rallentamento per la presenza di resistenze.
    Per favorirne il superamento, il terapeuta le aveva proposto di assumere la posizione distesa sul lettino. Sandra, però, non aveva tollerato la nuova collocazione in quanto si erano presentate fantasie nei confronti del terapeuta, collocato alle sue spalle.
    Immaginava di essere aggredita o, al contrario, aveva fantasie aggressive nei confronti del terapeuta stesso. Si era molto spaventata per la loro violenza, per il fatto di non riuscire ad operare alcun tipo di controllo su di esse e aveva quindi interrotto la terapia. Dal racconto delle sue vicende familiari emerge un rapporto molto problematico con il padre.
    Nei ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza sono presenti frequenti litigi tra i genitori, legati al fatto che il padre era molto poco presente a casa e spesso trascorreva fuori le notti, adducendo motivi di lavoro. Era invece certa che intrattenesse altre relazioni ed in seguito si è scoperto che da una di queste era nato un bambino.

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