Amare da Morire: le Dipendenze Affettive

Amare da Morire: le Dipendenze Affettive

È possibile che il legame tra due persone sia così intenso da trasformarsi in una vera e propria “tossicomania senza droga”? Purtroppo si, ma è bene distinguere situazioni assolutamente comuni e transitorie (come nel caso del “mal d’amore”), da altri processi che possono essere invece fonte di sofferenza per uno e/o entrambi i partner: in questi casi si parla di “intossicazione d’amore”.

È considerato del tutto naturale il cosiddetto “mal d’amore”, cioè una sofferenza che può essere legata ad uno stato affettivo e di interesse verso un “oggetto d’amore” non disponibile.

Per “intossicazione d’amore” si intende invece una condizione relazionale negativa che è caratterizzata dall’assenza di reciprocità nella vita affettiva e nelle sue manifestazioni all’interno della coppia e che tende a creare

malessere psicologico o fisico piuttosto che benessere e serenità. Tale condizione, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere interrotta per ricercare un nuovo stato di serenità. Qualora ciò risulti impossibile

si è soliti parlare di “dipendenza affettiva” .

Il profilo psicologico della persona dipendente da una relazione è caratterizzata dal timore della disapprovazione e dell’abbandono. Queste persone hanno una carenza di autostima, per cui fanno dipendere il proprio valore di persona dagli altri e/o comunque da qualcosa di estraneo a se stessi. Non si crede di meritare di essere amati per come si è. Non ci si sente interessanti, degni di essere accettati, accolti

e amati. Dominati da questi timori, le persone mettono al primo posto tutto tranne che se stessi. Ciò vale in qualsiasi campo della vita: non solo negli affetti, ma anche in famiglia e sul lavoro. Si pensa che il proprio benessere dipenda un altro, per cui si finisce col mettere la propria vita nelle mani di questo altro e si accetta che costui faccia di tutto. Pur di ottenere affetto, stima e riconoscimento del proprio valore, si accettano compromessi indecenti e di ogni genere,

verso una dimensione che annulla la propria dignità: si dice sempre di si alle richieste esterne, non riuscendo a mettere confini a quanto si è disposti a subire. In altre parole, la strada per ottenere affetto è quella di annullarsi come persona, rendendosi schiavi del partner. Per queste persone, l’unico modo, l’unica strada possibile per ottenere l’amore è quella di piegarsi alla volontà dell’altro. Queste persone sono dominate da una fame interiore insaziabile ma soprattutto insopportabile: è una fame di sicurezza, di conferma del proprio valore, di riconoscimento dall’altro. È una fame insopportabile: pur di non sentirla, si cerca e si fa di tutto per tentare di saziarla.

 

Questa gabbia nasce dalla convinzione di non meritare affetto, dal vivere in funzione dei bisogni di un altro, cercando di controllarlo e di assecondarlo in ogni modo nella speranza di riuscire ad avere attenzione ed amore.

Nelle persone che sviluppano una dipendenza affettiva sono presenti in genere le tendenze a:

 

  1. disconoscere i propri bisogni emotivi.
  2. limitare le proprie aspettative in funzione del partner.

 

Queste tendenze sono finalizzate, in modo più o meno inconsapevole, a nutrire l’autostima in modo vicario, cioè attraverso il controllo del partner.

Le conseguenze di una dipendenza affettiva comporta innanzitutto una sofferenza psichica che si manifesta in modi differenti:

da generici sentimenti di insoddisfazione e di frustrazione fino a veri e propri disturbi di tipo depressivo. In secondo luogo, aumenta il rischio di esporsi a violenze psicologiche e fisiche: chi ha una dipendenza affettiva è spesso portato a scegliere partner incapaci di dare un autentico affetto, se non addirittura violenti e devianti. Chi è dipendente affettivamente spesso è a rischio di violenza psichica e fisica.

L’aspetto forse più sorprendente consiste comunque nella volontà di mantenere la scelta di un partner non disponibile affettivamente, frustrante,

tiranno e spesso violento. D’altra parte tale scelta viene mantenuta e “difesa” a denti stretti perché è erroneamente considerata quella in grado di alimentare la propria autostima. Questa scelta, inoltre, illude di soddisfare il bisogno

di avere vicino una presenza rassicurante, che fornisca il tanto desiderato bisogno di protezione.

Secondo Alice Miller, alla base di tale scelta c’è quella che lei stessa ha definito “speranza distruttiva”: attraverso il partner, si cerca in modo simbolico di trasformare un genitore tiranno in una creatura amorevole.

La “vittima” (colei/colui che dipende affettivamente) non vuole rinunciare alla speranza che un giorno il partner mantenga la promessa da lei percepita nei primi contatti e le mostri cos’è l’amore. Attraverso questo tortuoso ed impervio percorso, la scelta di un partner non disponibile affettivamente avrebbe quindi il significato simbolico di cancellare le umiliazioni subite e negate nell’infanzia.

La dipendenza affettiva affonda la propria origine nel passato affettivo e relazionale ed in particolare nel rapporto instaurato durante l’infanzia con i genitori. Probabilmente quest’ultimi hanno lasciato insoddisfatti

e inappagati i bisogni infantili, costringendo i bambini ad adattarsi imparando a limitare i loro bisogni. Questo processo di limitazione può portare al formarsi di pensieri del tipo: “I miei bisogni non hanno importanza” o “non sono degno

di essere amato”.

 

Da adulti, questi “bambini non amati” dipendono dagli altri per quanto concerne il proprio benessere psico-fisico e la soluzione dei loro problemi. Vivono nella paura di essere rifiutati, scappano dal dolore, non hanno fiducia nelle loro capacità e si giudicano persone non degne d’amore. I primi anni della vita, tra l’altro, sono fondamentali nel formare la propria autostima e i genitori giocano un ruolo essenziale nella sua creazione. L’autostima si sviluppa (in maniera negativa o positiva) a seconda dell’esperienza vissuta durante l’infanzia con gli adulti significativi e continua a svilupparsi durante tutta la vita.

 

L’obiettivo generale è la conquista dell’indipendenza e dell’autonomia affettiva (nonché della propria identità): questo “risultato” è perseguibile attraverso la maturazione della consapevolezza dei sentimenti e della capacità

di esprimerli. Conquistare l’indipendenza significa non subire più le prepotenze di chi tende a prevaricare e a legare inducendo sentimenti di colpa; significa anche mettere alla prova le personali capacità di impegnarsi per “crescere” sotto

il profilo affettivo.

L’autonomia, intesa come rinuncia ad un legame che mantiene la dipendenza, può essere conseguita attraverso i seguenti obiettivi parziali:

  • Smettere di aspettarsi ciò che ci è stato negato da bambino
  • Prendere coscienza di quella che Malan ha definito la “sindrome del dover sempre aiutare gli altri”: il soggetto dedica agli altri tutte le cure e le attenzioni che avrebbe voluto avere per sé
  • Cercare la propria verità, ritrovare la propria storia, per capire i motivi per cui si è diventati la persona che oggi si è: la libertà si conquista decifrando la propria storia
  • Imparare ad ascoltarsi e a scoprire la parte più istintuale di sé (una lettura che consiglio anche agli uomini: “Donne che corrono coi lupi”, di Clarissa Pinkola Estés)
  • Avere il coraggio di reclamare il proprio diritto di essere rispettati, soprattutto quando si viene calpestati nella propria dignità
  • Combattere pregiudizi e pensieri negativi su se stessi
  • Rinforzare la consapevolezza del proprio valore (ad esempio: smettere di pensare che, in assenza di un legame sentimentale, si sia inutili)
  • Non avere timore di denunciare né di parlarne

 

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