L’azione terapeutica della lettura

L’azione terapeutica della lettura

Si legge per pensare e per non pensare.

Per distrarsi, per piangere o per entrare in un mondo fantastico.

Ci sono libri che non lasciano traccia e altri che, come sostiene Elias Canetti, teniamo vicini per anni senza aprirli e poi leggiamo d’un fiato, «come una rivelazione».

La lettura come fenomeno di massa ha una storia relativamente recente.

«Ma noi uomini siamo ascoltatori di racconti, da sempre. E da sempre il racconto è visto come terapeutico, si tratti della catarsi generata dalla tragedia greca o più semplicemente di seguire le peripezie di un eroe che alla fine riesce a vincere le proprie battaglie, scoprendo così che anche il nostro mondo interiore riesce in qualche modo ad assestarsi», spiega Milo Silvera, scrittore e bibliofilo.

«E oggi che la lettura, nonostante giustificabili pessimismi, è diffusa come mai prima nella storia, la narrativa ci offre la possibilità di interagire con l’autore per creare un film tutto nostro, un vero atto creativo, a partire dalla parola scritta.

E al tempo stesso di soffermarci a riflettere su una pagina che ci colpisce».

«Mi sono chiesto perché le storie ci attirino tanto: la maggior parte dei nostri svaghi contiene la narrazione di una storia», osserva Raymond A. Mar, psicologo della York University di Toronto.

«E mi sono convinto che ne siamo affascinati perché siamo affascinati dai nostri simili. Le storie contengono informazioni sulle dinamiche sociali che attivano gli stessi processi cognitivi usati nelle interazioni con gli altri».

Sappiamo che le aree cerebrali messe in moto dai processi narrativi sono diverse da quelle legate alla comprensione di parole o costrutti semantici.

E diverse ricerche mostrano che ciò che leggiamo influenza il nostro modo di vedere il mondo. Proprio Mar ha mostrato, in un esperimento mirato ad analizzare gli effetti dell’esposizione prolungata alla narrativa, che le persone che hanno appena letto un racconto rispondono meglio a un test sulle interazioni sociali rispetto a quanti hanno letto un articolo di una rivista.

Ma la lettura non è solo questo, «e non solo perché il fatto stesso di leggere, costringendoci a concentrarci, induce un processo psicofisiologico di rilassamento», spiega Giorgio Nardone, psicoterapeuta e psicologo.

«La narrazione porta la nostra mente su percorsi non ordinari, ci aiuta a fare ragionamenti che altrimenti non faremmo: in questo senso Dostoevskij è uno dei più grandi psicologi che siano mai esistiti».

E la narrativa ha un potere che nessun saggio riesce ad avere: forse perché, da animali sociali, sono soprattutto le storie dei nostri simili che riescono ad avvincerci, si tratti di pura invenzione o di biografia.

 

Fonte: Mente&Cervello, marzo 2008, n. 39

Autore: Paola Emilia Cicerone

 

A.G.

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